Le lingue indoeuropee sono la famiglia linguistica che comprende la maggior parte delle lingue d'Europa vive ed estinte che attraverso il Caucaso e il Medio Oriente da un lato e la Siberia occidentale e parte dell'Asia Centrale dall'altro, sono arrivate a coinvolgere l'Asia meridionale e in tempi antichi persino l'attuale Turkestan cinese (odierno Xinjiang).
Nel corso dell'età moderna, in seguito alle esplorazioni geografiche, alle migrazioni e alla colonizzazione che hanno fatto dilagare i popoli europei in gran parte del globo, si è diffusa in tutti i continenti, divenendo la famiglia dominante nelle Americhe, in Australia, in Nuova Zelanda, in gran parte della Siberia e in singole regioni dell'Africa. Oggi le lingue della famiglia linguistica indoeuropea hanno nel globo il maggior numero relativo di parlanti, rispetto alle altre famiglie linguistiche. La famiglia linguistica indoeuropea si divide a sua volta in grandi sottofamiglie (gruppi o rami di lingue), sulla cui esatta composizione e sulle cui relazioni è in corso un vivace dibattito scientifico.
le lingue anatoliche, parlate in Anatolia già nel XIX-XVIII secolo a.C. e oggi estinte; ne fanno parte il luvio, l'ittita, il palaico e nei secoli IX-V a.C. il licio, il lidio, il cario; al ramo anatolico Paul Kretschmer e Vladimir Ivanov Georgiev ascrivono anche una delle lingue di substrato egee che hanno influsso sul greco classico attraverso i loro prestiti lessicali, dotati di una fonetica molto diversa da quella del greco stesso (ramo egeo-anatolico);
i dialetti del greco, che è la lingua indoeuropea con la maggior continuità storica, dato che un arcaico dialetto greco, il miceneo, nelle sue varianti normale e speciale, è stato scoperto nel 1953 da Michael Ventris nelle tavolette in lineare B dei palazzi Achei dei secc. XVI-XIII a.C.; della famiglia dei dialetti greci fanno parte, in età storica, lo: ionico, l'attico, il dorico, l'eolico, l'arcado-cipriota, il greco di nord-ovest e il panfilio;
l'indo-iranico, comprendente il ramo indo-ario (lingue indoeuropee parlate in India) e l'iranico (lingue indoeuropee dell'Iran), oltre al piccolo ramo intermedio nuristani; in età antica è testimoniato dall'avestico, dal sanscrito vedico e poi dal sanscrito classico. I dialetti indo-iranici sono attestati nelle loro sedi nel I millennio a.C.; tuttavia, tracce linguistiche inequivocabili della presenza degli indo-arii sono state rinvenute nei documenti delle civiltà mesopotamiche già fra il 1900 a.C. e il 1300 a.C., in concomitanza con il subentrare di dinastie "barbariche" a Babilonia e fra gli Hurriti;
le lingue celtiche diffuse dal I millennio a.C. nell'Europa atlantica dalla Spagna alla Gran Bretagna e all'Irlanda, in Francia, nella Germania e nell'Italia settentrionale. Oggi invece il loro ambito di diffusione è assai ridotto, comprendendo una parte del Galles e talune piccole aree dell'Irlanda, della Scozia e della Bretagna e a rischio di estinzione; tuttavia dobbiamo notare che il gaelico irlandese è lingua ufficiale della Repubblica di Irlanda ed è anche parte dell'apprendimento scolastico della nazione;
il venetico, lingua a sé parlata nell'antico Veneto, mostra, tuttavia, affinità con il latino e le lingue italiche;
le lingue germaniche, di cui è certo che già intorno alla metà del I millennio a.C. fossero diffuse in Europa centro-settentrionale, fra il Baltico e il bassopiano sarmatico e in Scandinavia. Le loro prime attestazioni scritte risalgono al V secolo d.C.;
Il tocario, nei suoi due dialetti estinti A e B (che invero, secondo la maggior parte dei linguisti, sono due lingue vere e proprie), documentati nel Turkestancinese intorno al 1000 d.C.;
A queste ultime lingue, storicamente documentate anche se in maniera molto frammentaria, si devono aggiungere alcune lingue la cui esistenza è solo postulata sulla base di evidenze indirette. Da un lato abbiamo il cosiddetto "europeo antico", ipotetica lingua indoeuropea di sostrato, parlata secondo alcuni (in primo luogo Hans Krahe) in epoca molto antica in Europa, diversa da tutti gli altri rami della famiglia, e che avrebbe dato origine alla tipica idronimia europea di fondo. Dall'altro lato sono state postulate alcune lingue egee di substrato indoeuropeo influenti sul greco antico ma estranee al ramo egeo-anatolico e agli altri rami indoeuropei noti, fra cui il pelasgico, il greco psi e il pelastico. Queste ultime lingue non sarebbero imparentate direttamente con il greco: i loro resti testimonierebbero l'affioramento di lingue indoeuropee totalmente sconosciute e caratterizzate da aspetti propri, diversi in parte da quelli che identificano i gruppi linguistici dell'indoeuropeo a noi estensivamente o parzialmente noti.
Le diverse sottofamiglie dell'indoeuropeo sono per tradizione raggruppate in due grandi gruppi, divisi dalla cosiddetta isoglossa centum-satem e distinti in base al trattamento delle consonanti gutturali. Le cosiddette lingue centum (dal latino centum, "cento") continuano le antiche gutturali palatali come velari, mentre le lingue satem (dall'avestico satəm, "cento") le mutano in consonanti fricative palatali e sibilanti.
Gli studiosi attribuiscono valore differente al fenomeno della satemizzazione, a seconda dei loro orientamenti. I fautori della cosiddetta teoria glottidale ritengono ad esempio più pertinente il trattamento delle ipotetiche consonanti glottidali che essi presumono tipiche del proto-indoeuropeo nella sua fase comune, e preferiscono perciò distinguere fra lingue taihun (dal gotico taihun, "dieci") che perdono la glottidalizzazione mutando le glottidali in consonanti sorde e lingue decem (dal latino decem, "dieci"), che tramutano le glottidali in sonore.
Classificazione
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Di seguito vengono riportati i gruppi linguistici, oggi parlati e anche estinti, in cui sono classificate le lingue indoeuropee. Al proposito si deve affrontare tutta una serie di questioni, giacché anche i vari specialisti non sempre adottano le stesse scelte terminologico e metodologico. Citiamo talune questioni che possono aiutare a servirsi meglio della successiva classificazione.
La classificazione più esauriente è quella ormai classica di Merritt Ruhlen, in un testo in cui vengono classificate a grandi linee tutte le lingue oggi parlate al mondo e la massima parte di quelle estinte a noi note. Per le lingue indoeuropee, si hanno a disposizione anche le classificazioni più recenti e dettagliate di Ernst Kausen, che fra l'altro hanno il pregio di avere molto spesso una discussione critica sulle posizioni scientifiche antecedenti. Ruhlen e Kausen, presi insieme, consentono di avere una buona visione di insieme della classificazione delle lingue indoeuropee e dei problemi che essa comporta. Altri testi specifici di linguisti sulle lingue e le culture indoeuropee convergono fondamentalmente con tali scelte, anche se possono variare su taluni dettagli. La ripartizione esposta non è comunque condivisa dalla totalità degli studiosi.
Svariati specialisti, fra cui lo stesso Ruhlen, concordano in genere nell'identificare 10 grandi gruppi di lingue indoeuropee, 8 composti da lingue parlate ancora ai nostri giorni e due esclusivamente da lingue estinte. Abbiamo così il gruppo albanese, il gruppo armeno, il gruppo balto-slavo, il gruppo celtico, il gruppo germanico, il gruppo greco, il gruppo indo-iranico, il gruppo neolatino per quanto riguarda la suddivisione delle lingue parlate ancora ai nostri giorni. Il gruppo anatolico e il gruppo tocario sono invece estinti. Fra gli specialisti è diffusa l'idea di una stretta affinità fra le lingue baltiche e le lingue slave, per cui sarebbe possibile considerare il balto-slavo come un'unità primaria, che si divide secondariamente nei due rami baltico e slavo. Nell'esposizione teniamo comunque separate le lingue baltiche dalle lingue slave, giacché la questione è ancora aperta e controversa. Da parte sua, il gruppo indo-iranico si divide nei due rami indo-ario (lingue dell'India e del Pakistan) e iranico, oltre al terzo ramo nuristani, composto da piccole lingue parlate in regioni montuose dell'Afghanistan, che è considerato indipendente (anche se strettamente imparentato) con gli altri due rami, ben più copiosi.
Le altre lingue indoeuropee estinte hanno attestazioni troppo frammentarie per essere collocate in gruppi ben definiti e d'altra parte la parentela di queste lingue fra di loro e con le lingue dei gruppi a noi noti rimane problematica. Così non sappiamo precisamente l'estensione dei gruppi illirico e tracio-frigio, né se essi sono imparentati strettamente l'uno con l'altro e non sappiamo sé il macedone, ad esempio, sia imparentato più o meno strettamente con il greco. Una delle supposizioni più sensate, comunque, è che il greco miceneo e classico si sia sviluppato su un sostrato in parte di tipo anatolico.
Alcuni autori, fra cui Merritt Ruhlen, hanno adottato la dizione di indo-hittita per le lingue nel loro complesso, per mettere in evidenza l'idea (di accettazione generalizzata) che il gruppo anatolico, di cui l'hittita fa parte, sia senz'altro il primo ramo linguistico staccatosi dal ceppo indoeuropeo originario. La dizione, però, non ha goduto di un successo particolare.
Per quanto riguarda la distinzione tra lingua e dialetto, il dibattito è interminabile e in un certo senso non può essere chiuso, data la ricchezza (che è complementarità e conflittualità insieme) di molteplici punti di vista, che non sono soltanto strettamente scientifici (linguistici), ma anche antropologici, sociologici e spesso politici. Il fatto è che in massima parte le lingue del mondo, fino a tempi assai recenti, sono state soltanto orali e quindi in genere coinvolgevano un numero ristretto di parlanti e territori dall'estensione altrettanto ristretta. In questo senso le lingue scritte e di cultura sono recenti e particolare, e ancora più recente e particolare è il fatto che talune varianti di queste lingue hanno assunto una funzione normativa, facendo convergere molte parlate dialettali e spesso generando una caratteristica diglossia fra lingua e dialetto, a seconda delle necessità, delle modalità e delle fasi comunicative dei vari parlanti. In Europa, specificamente, questo processo è strettamente legato allo sviluppo degli stati nazionali, ognuno dei quali ha diffuso una lingua letteraria fondata su una particolare parlata territoriale, tuttavia ibridata in vario modo con altre parlate e dipendente di volta in volta da singole scelte individuali o collettive. Così il nucleo normativo della lingua spagnola è tratto dal castigliano e il nucleo normativo della lingua francese è tratto dal parigino, ma non possiamo dire che lo spagnolo d'oggi si riduca completamente a un dialetto castigliano e il francese d'oggi si riduca completamente a un dialetto parigino. Nel caso dell'italiano, è corretto dire che le parlate toscane sono alla base della lingua italiana, ma tuttavia lo sono indirettamente, attraverso il tramite di una lingua letteraria (in Italia, peraltro, plurisecolare) che su base toscana ha ibridato anche influssi settentrionali e meridionali.
Ciò per spiegare quanto sia difficile trovare una classificazione univoca delle lingue indoeuropee, che oggi sono in massima parte lingue scritte in cui i fenomeni di normatività, di convergenza dialettale e di varie forme di diglossia sono state e sono ampiamente diffuse. Vi sono quindi due tendenze. La tendenza prevalente fra gli indoeuropeisti è di adottare in genere la nozione di lingua quale lingua scritta attorno alla quale si è avuta storicamente la convergenza di un ampio campo di parlate dialettali. Al contrario, la classificazione di Ethnologue, che osserva tutte le lingue del mondo con uno sguardo fondamentalmente antropologico, prende le mosse dalle lingue parlate, per cui la sua nozione di lingua è più ristretta e spesso equivale a un livello che in altre classificazioni è equivalente ai grandi gruppi dialettali in cui si divide una lingua. Rispetto a una tale disparità di visioni è impossibile sia prendere una decisione netta sia essere neutrali. È opportuno, tuttavia, in una classificazione relativa alle lingue indoeuropee, rispettare le classificazioni correnti presso la maggior parte degli studiosi di indoeuropeistica e tuttavia indicare, ove possibile, le grandi classificazioni dialettali seguendo Ethnologue o altri autori che hanno affrontato la questione.
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Émile Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1988, ISBN88-06-59960-7.
Enrico Campanile, Bernard Comrie, Calvert Watkins, Introduzione alla lingua e alla cultura degli Indoeuropei, Bologna, Il Mulino, 2005, ISBN88-15-10763-0.
James Clackson, Die indogermanische Sprachen, Hamburg, Buske, 2012, ISBN978-0521653671.
Vladimir Georgiev, Introduzione alla storia delle lingue indoeuropee, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1966.
Ernst Kausen, Indo-European Linguistics. An Introduction, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, ISBN978-3875486124.
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