«Μῆνιν ἄειδε θεὰ Πηληϊάδεω Ἀχιλῆος / οὐλομένην, ἣ μυρί᾿ Ἀχαιοῖς ἄλγε᾿ ἔθηκε»
«Cantami, o Diva, del Pelide Achille / l'ira funesta che infiniti addusse / lutti agli Achei»
La lingua omerica è la varietà di greco usata nei poemi omerici. Si tratta di una lingua dai caratteri compositi, che riflette la molteplicità degli apporti linguistici confluiti nell'Iliade e nell'Odissea.
Nei due poemi omerici Iliade e Odissea si può osservare una lingua non unitaria, ma che presenta caratteri linguistici propri di vari dialetti: nonostante si basi principalmente sul dialetto ionico, tuttavia non mancano numerosi apporti dall'attico e dall'eolico e talvolta influssi dalla lingua micenea.
Si sa, grazie agli studi di quella che è denominata questione omerica, che furono composti attraversando varie rielaborazioni; i poemi dovevano circolare attraverso blocchi narrativi successivamente ricuciti in un solo poema, prima della prima edizione ufficiale nel VI secolo durante la tirannide di Pisistrato ad Atene.
Proprio a causa delle continue rielaborazioni dovute anche all'iniziale oralità dei poemi, nella lingua omerica è osservabile il fenomeno della stratificazione linguistica: cioè sono presenti nei testi parole provenienti dalle varie epoche della storia greca (greco arcaico, greco classico e koinè)
Caratteristica fondamentale, che rende i poemi omerici diversi dalle altre opere greche, è la presenza costante di diversi dialetti, ossia dei modi diversi di enunciare un sostantivo, un aggettivo, un verbo, e ciò è presente già dal primo verso del I libro dell'Iliade θεά, termine di origine eolica, ossitono, che ha perso la ritrazione dell'accento, che si accosta a Πηληϊάδεω. Frequente è anche l'alternanza tra la particella ἄν del dialetto ionico con l'equivalente eolico κε, scritto anche con il termine κεν, frutto della crasi tra i due, anche se altri pensano che il ν mobile tipico dello ionico e assente nell'eolico, fosse stato usato proprio dagli aedi ionici che modificarono una particella eolica. Si cita l'esempio di ναυσί ionico (dativo plurale) a confronto con l'eolico νήεσσι. Per queste varie differenze, alcuni pensarono anche che Omero, individuato come l'autore malgrado il suo conto semi-mitico, avesse viaggiato per varie terre intorno alla Grecia, giungendo nel Panionio in Asia Minore, e nell'Eolia, assumendo questi caratteri linguistici.
Seguendo le scoperte di Ventris e Chadwick della lineare B nel 1952, si è appurato che i due poemi omerici seguono convenzioni grammaticali e formulari tipiche dell'epos arcaico greco:
Già vedendo queste prime caratteristiche dei due poemi, si può comprendere come la lingua omerica sia "artificiale", frutto di rielaborazioni lunghe di secoli, partendo da proto-forme di cantari micenei, rielaborati poi in eolico, con la mediazione del dialetto ionico. Poi ci sono altri fenomeni linguistici più recenti, che furono aggiunti nel VI secolo a.C., altri, come è possibile vedere dalle trascrizioni alessandrine, anche in epoche più tarde, nei tentativi di accomodare e correggere i poemi. All'epoca di Pisistrato al governo di Atene, i poemi omerici erano recitati nelle feste Panatenee, documentate per la prima volta nel 565 a.C., e la critica concorda sul fatto che molti atticismi derivino dal passaggio orale, oppure già scritto dei blocchi narrativi eolici e ionici, a quello scritto della prima edizione pisitratea. Gli atticismi sono molti: τέσσαρες (ionico τέσσερες, nell'eolico addirittura πίσυρες), per la congiunzione conclusiva οὖν si ha ὦν in ionico, e per la temporale οπότε si hanno i corrispettivi dialettali κότε in ionico e in eolico ὅπποτε.
Altro fenomeno è l'uso del duale nel verbo e nella declinazione: gli aedi lo consideravano scarsamente, e lo usavano come una forma per i nomi plurali doppi, o come un numero verbale. Nel VI libro dell'Iliade al v. 120 in riferimento a Glauco e Diomede, si scrive συνίτην μεμαῶτε μάχεσθαι ("si incontrarono bramosi di combattere"), e poi il testo prosegue "ma essi dopo che furono vicini, andando l'uno verso l'altro, con i plurali οἱ δ(ε) ἦσαν, άλλήλοισιν, per tornare poi al duale participio con ἰόντε: in due versi si incontrano tre duali e tre plurali riferiti alla stessa coppia di personaggi.
Caratteristiche principali sono:
Alcune forme verbali in vocale aspra, contratte in attico, ma non nello ionico poiché sono dette "aperte o sciolte", nell'eolico invece sono atematiche, ricorrono nei poemi omerici con un vocalismo a sé, che è del tutto assente nei dialetti greci, esempi sono: ὁρόω e ὁράασθαι. Questi due termini nei dialetti greci derivano da ὁράω e ὁράεσθαι, conservati nello ionico, ma nella tipica contrazione dell'attico si ha ὁρῶ e ὁρᾶσθαι.
Nella recitazione la seconda sillaba di ὁρῶ e la seconda sillaba di ὁρᾶσθαι dovevano valere tre tempi e non due per rispettare la struttura metrica dell'esametro dattilico, che imponeva la prosodia ∪ ∪ — (ὁράω) e ∪ ∪ — ∪ (ὁράεσθαι). Nelle forme "distratte", i gruppi -οω e -αα costituirebbero la rappresentazione grafica di queste vocali lunghe che però "scavalcavano" il confine del piede. Tale fenomeno si sarebbe verificato durante il passaggio dei due poemi al dialetto attico, la cui caratteristica è la contrazione; quando i poemi passarono nelle mani dei grammatici alessandrini, molto conservatori riguardo all'edizione del testo, preferirono non cambiare queste contrazioni.
In Omero e nei dialetti di alcuni lirici greci (Alceo, Saffo, Alcmane) era ancora presente la semivocale ϝ (wau o digamma), equivalente al suono /w/. Nel testo omerico il digamma è sparito per via della caduta di questa semivocale all'epoca della trascrizione sotto Pisistrato, ma è possibile rintracciarlo grazie al lavoro di R. Bentley. Nell'Odissea (XVII, 78) Telemaco, parlando a Pireo:
Πείραι', οὐ γάρ τ' ἴδμεν, ὅπως ἔσται τάδε ἔργα.
La congiunzione τ(ε) non ha alcun senso all'interno di un'allocuzione, ma è necessaria per produrre l'allungamento per posizione di γάρ; e nello stesso tempo non si comprende perché la finale di τάδε non elida davanti a ἔργα. Se ciò avvenisse, non tornerebbe la lunghezza dell'esametro nel verso, ma se tiene conto che οἶδα (qui I persona plurale ἴδμεν) deriva da *ϝοιδ- (così come si può vedere nella comparazione del tema "vedere" di *ϝειδ-/ϝοιδ-/ϝιδ- e il latino vid-eo), e dall'altra parte del verso si ammette il digamma *ϝεργα, come in ἐργάζομαι, si può affermare che la quantità metrica combacia perfettamente con le esigenze dell'esametro dattilico, e il verso originario doveva recitare:
Πείραι', οὐ γάρ ϝίδμεν, ὅπως ἔσται τάδε ϝέργα.
Nell'Iliade (XXIII, 198) i manoscritti leggono ὦκα δὲ Ἶρις dove il digamma non compare; Bentley suppose che la forma originaria dovesse essere ὦκα δὲ ϝἾρις; questa ipotesi datata 1713 fu confermata da un papiro recente dell'Odissea (XXIV, 278) dove si legge: γυναῖκας ἀμύμονα ἔργα ἰδυίας, si ipotizza la forma originaria di ϝἰδυίας per evitare l'elisione finale di ἔργα con ἰδυίας. Si è giunti così nei due poemi omerici a individuare numerosi digammi caduti, come nei pronomi personali σεῖο < ϝειο < *σϝειο, oppure ὅς, ἥ, ὅν < ϝός, ϝή, ϝόν. Un altro termine antichissimo d'origine micenea, spesso citato anche in Omero per indicare il sovrano e capo tribù ἄναξ proveniva da ϝάναξ (pronuncia "wanax").
Alcuni nomi propri, che non risultano di radici greche, come Άχιλλεύς e Όδυσσεύς ricorrono a volte nei versi omerici con una sola consonante del raddoppiamento, ossia Άχιλεύς e Όδυσεύς, ciò avviene ovviamente per ragioni metriche, per adattare la lunghezza della parola alle esigenze dell'esametro, e ciò avviene non solo in Omero, ma anche nei lirici e negli altri poeti sia latini sia greci. Ciò tuttavia avviene anche per "analogia" con i termini a doppia λ, la cui radice originaria ne prevede anche uno solo, come nel caso, parlando di grammatica, di λαμβάνω il cui TV è *σλαβ con l'assimilazione successiva di /s/ e dunque raddoppiamento del λ; in Omero abbiamo per l'aoristo II sia ἔλᾰβε sia ἔλλᾰβε.
Nella flessione nominale Omero conserva tracce di antichi casi indoeuropei, perduti poi nel greco classico ad eccezione di alcune forme cristallizzate, che si esprimono mediante suffissi aggiunti al tema del sostantivo:
Nei comparativi le forme in -τερο mantengono l'antico valore oppositivo, le forme in -ιον e -ιστο dei superlativi sono più diffuse nell'attico.
Nella coniugazione tematica dei verbi in -ω e atematico in -μι, la distinzione della I persona singolare, soprattutto nell'attico, non è sempre regolare, e si hanno casi come ἀγάγω e ἀγάγωμι; per la II singolare si trova spesso l'antica desinenza in -σθα (τίθησθα), per la III persona singolare del congiuntivo si hanno, accanto alla desinenze normali in -ῃ quella in -ῃσι (λάβῃσι), così anche per le coniugazioni atematiche; la III persona plurale presente delle desinenze primarie, si conserva nell'arcaico in -ντι, successivamente si ha avuto -σι(ν) per l'assibilazione di /τ/ > -ατι con l'allungamento della vocale > -αι; la corrispettiva III plurale dei tempi storici si è sempre mantenuta, anche dopo Omero in -σαν.
Nella diatesi media non si ha la contrazione della vocale tematica e le desinenze della II persona singolare - σαι (tempi primari) -σο (tempi storici), quando è caduto il /s/ intervocalico: βούλεσαι > βούλεαι. Nella III persona plurale si hanno sia le desinenze in -νται sia -ατι.
Nella diatesi passiva, dove l'attico assume la desinenza -σαν nell'aoristo passivo, si ha l'abbreviamento del suffisso, e la desinenza -ν
L'aumento è facoltativo in Omero, innanzitutto per questioni metriche, per caratterizzare i tempi storici difatti basta seguire la desinenza. In forme ioniche del passato, frequenti in Omero e Erodoto, si ha il suffisso -σκ, il preterito iterativo, che si va a unire alla forma presente + la desinenza atematica o atematico, e così anche per gli aoristi. Alcuni aoristi del tipo forte presentano il raddoppiamento tipico del perfetto, come i casi di λέλαθον da λανθάνω; per la coniugazione suppletiva del verbo "dire", si ha la forma ἔειπον anziché εἶπον; si tratta di un raddoppiamento sillabico anziché temporale, frequente naturalmente nei tempi storici. Solo che con le vocali si tratta di un aumento "invisibile": *ε-ϝε -ϝkw-ον: il primo digamma cade sparendo, e il secondo si vocalizza in -υ, la labiovelare passa a π: εϝευkw-ον < ἔειπον.
Numerose poi sono le forme atematiche con valore intransitivo o passivo, come βλῆτο da βάλλω. Esistono poi aoristi sigmatici misti dei verbi in -ω, come δύσετο da δύω; in Omero inoltre sono frequenti i futuri contratti, dove il tipico -σ caratterizzante del futuro sigmatico cade, ma non avviene la contrazione attica, quindi si ha βαλέω anziché βαλῶ quanto al verbo βάλλω. Il congiuntivo spesso non ha il tipico allungamento di vocale tematica che lo contraddistingue.
Gli allungamenti e le modifiche anche consonantiche di varie parole nei versi, per le esigenze dell'esametro dattilico, sono stati studiate da W. Schulze, che ha stabilito 2 leggi:
Alcune caratteristiche rispetto agli altri dialetti greci antichi:
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