Il Raja Yoga, adattamento di Rāja Yoga (devanagari: राजयोग; lett.: Yoga Regale), è il nome con cui è nota la dottrina dello Yoga classico, originariamente esposta negli Yoga Sūtra, opera attribuita al filosofo indiano Patañjali (I - V sec.
e.v.).
Gli Yoga Sūtra sono attribuiti al filosofo Patañjali, personaggio tradizionalmente collocato nel II sec. a.e.v. ma più probabilmente vissuto fra il II e il V secolo della nostra era. Oltre tale indeterminazione, ciò che appare invece certo è che lo Yoga esposto in quest'opera è la codifica di pratiche ben anteriori: il termine yoga compare infatti già nelle Upaniṣad col suo significato qui specifico: "unione". A Patañjali va però senz'altro il merito di aver dato un suo posto certo nell'ambito della filosofia indiana a quella che era una tradizione di carattere mistico. Fra le darśana ortodosse dell'induismo, cioè quelle dottrine teologico-filosofiche che sono ufficialmente riconosciute come significativamente rappresentative del mondo hindu, lo Yoga classico, o Yoga Darśana, è il "punto di vista" del Rāja Yoga di Patañjali insieme ai suoi numerosi commentari.
Gli Yoga Sūtra consistono di 196 sūtra, concise e significative frasi concepite per essere memorizzate con facilità, come era costume nelle tradizioni hindu, essendo quello orale il mezzo principale per condividere e tramandare il sapere. L'opera è divisa in quattro sezioni denominate pāda: Samādhi Pāda (la "congiunzione"); Sādhana Pāda (la "realizzazione"); Vibhūti Pāda (i "poteri"); Kaivalya Pāda (la "separazione"):
Dopo aver definito lo Yoga e discusso del samādhi, ultimo stadio del percorso yogico, nel secondo pāda Patañjali presenta l'aspetto pratico della disciplina introducendo il Kriyā Yoga (lo "Yoga dell'azione") e l'Aṣṭāṅga Yoga (lo "Yoga delle otto membra"). Nel terzo pāda egli prosegue con la descrizione dell'Aṣṭāṅga Yoga, elencando i cosiddetti "poteri extra-normali" che è possibile conseguire con la pratica dello Yoga. Tali poteri, egli chiarisce, non devono però distogliere lo yogin dalla realizzazione, dalla meta finale, che resta sempre quella della liberazione (il mokṣa) dal ciclo delle rinascite (il saṃsāra). Tale meta è possibile soltanto col samādhi, quello stadio in cui la coscienza (citta) è pacificata, in uno stato sovrarazionale, dove essenza e conoscenza si trovano in uno stato di "congiunzione". Nell'ultimo pāda Patañjali dà una veste filosofica alla pratica finora presentata coniugandola con la dottrina del Sāṃkhya: il samādhi consente finalmente di riconoscere la "separazione" fra spirito (puruṣa) e materia (prakṛti).
Patañjali definisce il Kriyā Yoga come quell'aspetto dello Yoga che favorisce la via verso il samādhi, cioè verso il cammino descritto negli otto stadi dello Aṣṭāṅga Yoga. Così nel primo sūtra del secondo pāda:
«tapaḥ svādhyāya Īśvarapraṇidhānāni kriyāyogaḥ»
«Il desiderio ardente nella pratica, lo studio di se stessi e delle sacre scritture, l'arrendersi a Dio sono le azioni dello Yoga.»
Dunque, per il filosofo il Kriyā Yoga non è una disciplina a sé, una branca dello Yoga come in seguito sarà inteso da altre scuole e filosofi: egli elenca semplicemente quegli atti (kriyā, lett.: "azione"), quelle condizioni cioè necessarie alla via dello Yoga: la pratica, la conoscenza, la devozione. Sebbene egli non usi i termini karma (l'azione e i suoi effetti), bhakti (la devozione), jñāna (la conoscenza spirituale), questi tre aspetti in seguito, presso altri pensatori , daranno luogo, così come per il Kriyā Yoga, a tre branche dello Yoga: Karma Yoga, Bhakti Yoga, Jñāna Yoga.
Īśvara è generalmente reso con "Signore", volendo così indicare la rappresentazione personale del divino: è questo il termine che Patañjali adopera, e non fa così riferimento a nessun deva in particolare. D'altronde, come egli stesso esplicitamente chiarisce nel primo pāda, Īśvara è da intendersi, più che un dio, come un sommo spirito (puruṣa), un maestro ideale, insomma un modello dello yogin la cui figura può essere di ausilio nel cammino verso la realizzazione. Si tratta quindi di un ruolo non centrale, che Patañjali non riprenderà più nel corso dell'opera.
Gli stadi (āṅga, lett.: membra) in cui Patañjali architetta la via dello Yoga sono elencati nel ventinovesimo sūtra del secondo pāda:
«yama niyama āsana prāṇāyāma pratyāhāra dhāraṇā dhyāna samādhayaḥ aṣṭāu aṅgāni»
«Le regole morali (yama), le osservanze (niyama), le posizioni (āsana), il controllo del respiro (prāṇāyāma), il ritirare i sensi verso la loro origine (pratyāhāra), la concentrazione (dhāraṇā), la meditazione (dhyāna), e l'assorbimento della coscienza nel sé (samādhi) sono gli otto elementi che costituiscono lo yoga.»
Riassumendo, il filosofo così prosegue elencando via via i vari stadi e i relativi elementi:
1. Yama: astinenze; astensioni; freni; proibizioni; regole di comportamento. Queste sono:
2. Niyama: osservanze; discipline. Queste sono:
3. Āsana: posizione fisica; postura;
4. Prāṇāyāma: controllo della respirazione e del flusso vitale;
«Ritmando la propria respirazione e rallentandola, lo yogin può "penetrare", cioè provare sperimentalmente e in piena lucidità, determinati stati di coscienza. [...] Il prāṇāyāma è, potremmo dire, una attenzione diretta sulla vita organica, una coscienza mediante l'azione, un ingresso calmo e lucido nell'essenza stessa della vita.»
5. Pratyāhāra: ritrazione dei sensi dagli oggetti; astrazione dal mondo; isolamento sensoriale;
6. Dhāraṇā: concentrazione;
7. Dhyāna: meditazione; contemplazione profonda;
8. Samādhi: congiunzione con l'oggetto della meditazione; assorbimento della coscienza nel sé; enstasi;
«Quando l'oggetto della meditazione assorbe chi medita, e appare come soggetto, si perde la consapevolezza di se stessi. È il samādhi.»
Spesso il Raja Yoga è contrapposto allo Haṭha Yoga, yoga descritto in testi molto più recenti e basato principalmente su prāṇāyāma (il controllo della respirazione) e āsana (l'esercizio delle posture). Se dunque quest'ultimo può considerarsi una disciplina fisica basata su un approccio dinamico, il Raja Yoga è allora una disciplina mentale, all'insegna della staticità. Nello stesso Haṭhayoga Pradīpikā l'autore, Svātmārāma, afferma che lo Haṭha Yoga è disciplina preparatoria a forme spirituali più elevate.
«Prânâyâma is not, as many think, something about breath; breath indeed has very little to do with it, if anything. Breathing is only one of the many exercises through which we get to the real Pranayama. Pranayama means the control of Prâna.»
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