Herpesvirus Umano 4: Specie di virus della famiglia Herpesviridae

Il virus di Epstein-Barr (EBV) o, in inglese, Human herpesvirus 4 (HHV-4, Human gammaherpesvirus 4) è una specie di virus a DNA appartenente al genere Lymphocryptovirus, della famiglia degli herpesvirus, responsabile della mononucleosi infettiva e coinvolto nella genesi di alcuni tumori epiteliali e di alcuni tipi di linfoma.

Herpesvirus Umano 4: Caratteristiche, Storia, Trasmissione Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
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Virus di Epstein-Barr
Herpesvirus Umano 4: Caratteristiche, Storia, Trasmissione
Classificazione scientifica
Dominio Duplodnaviria
Regno Heunggongvirae
Phylum Peploviricota
Classe Herviviricetes
Ordine Herpesvirales
Famiglia Herpesviridae
Sottofamiglia Gammaherpesvirinae
Genere Lymphocryptovirus
Specie Human gammaherpesvirus 4
Nomi comuni

Virus di Epstein-Barr

Caratteristiche

Come tutti gli herpesvirus, l'EBV ha una forma sferoide ed è formato da una doppia membrana lipoproteica, il pericapside, che riveste un capside icosaedrico (100-110 nm di diametro). Il capside racchiude il genoma, che è costituito da una molecola lineare di DNA a doppio filamento di 172 kilobasi. Il genoma è caratterizzato dalla presenza di diverse sequenze ripetute, alcune localizzate altre intersperse. Codifica circa cento geni di cui durante la latenza ne vengono trascritti al massimo 11 di cui 9 tradotti.

Questo virus è diffuso ovunque sulla superficie terrestre e l'averlo potuto isolare anche in etnie umane isolate costituisce una situazione abbastanza eccezionale in virologia umana. L'analisi molecolare ha evidenziato che esiste un solo tipo di EBV e che le piccole variazioni osservate nel DNA del suo genoma non sono significative e non modificano le sue proprietà.

L'EBV ha come ospite esclusivo l'uomo e qualche raro ceppo di scimmie antropomorfe; l'indisponibilità di modelli animali ha posto difficoltà per la valutazione sperimentale di un eventuale vaccino. Le cellule colpite di preferenza dall'EBV sono i linfociti B.

Storia

L'EBV fu isolato a Londra per la prima volta nel 1964 da Anthony Epstein, Yvonne Barr e Bert Achong. Questi virologi inglesi avevano ricevuto dall'Uganda e messo in coltura delle cellule prelevate da pazienti africani affetti da un particolare linfoma che colpiva le zone malariche sub-sahariane. I prelievi erano stati eseguiti da Denis Parsons Burkitt, che dal 1958 aveva individuato e descritto questa malattia e ne aveva analizzato le caratteristiche epidemiologiche. Isolando una linea cellulare e analizzando le cellule al microscopio elettronico, Epstein e Barr scoprirono la presenza di questo nuovo herpesvirus che venne chiamato virus di Epstein-Barr in loro onore.

Considerato all'inizio responsabile del linfoma di Burkitt, il virus fu in seguito ritrovato nella quasi totalità degli individui adulti e il suo ruolo nella patogenesi del tumore africano fu messa in discussione.

Dal 1968 si sa che nella maggioranza degli individui infettati l'EBV non provoca manifestazioni patologiche o provoca una forma indistinguibile dalle comuni infezioni respiratorie da virus; in alcuni casi è responsabile della malattia benigna nota come mononucleosi infettiva e comunque è associato, oltre che al linfoma di Burkitt, ad altri tipi di tumore maligno, tra cui il linfoma di Hodgkin e il carcinoma del rinofaringe, comune in Asia sud-orientale e nel Maghreb.

Trasmissione

La trasmissione del virus avviene principalmente con la saliva. Questo tipo di trasmissione è ben evidenziato dal nome che si dà comunemente alla mononucleosi: "malattia del bacio". Anche le vie di trasmissione ematica e sessuale sono possibili, ma in via del tutto eccezionale. Nei paesi economicamente sviluppati il primo contatto con il virus avviene nell'adolescenza e dopo i 25 anni di età quasi tutti gli individui, anche coloro che non hanno sviluppato la mononucleosi, presentano positività agli anticorpi anti-EBV. L'età della prima infezione si riduce in modo significativo a seconda del livello socio-economico e delle condizioni di promiscuità e di igiene. In Africa la trasmissione estremamente precoce del virus (sotto i 3 anni di età) è stata messa in relazione a particolari abitudini alimentari: la madre premastica il cibo che viene dato da mangiare al bambino piccolo.

Cellule-bersaglio

I linfociti B umani, cellule bersaglio dell'EBV, presentano sulla loro membrana un recettore, Cr2 (CD21), a cui si legano le glicoproteine gp350 e gp220 del virus. Questo recettore è anche il punto su cui si lega il frammento C3d del complemento. Quindi l'EBV si serve di un recettore fisiologico, imitando un legame naturale e riuscendo ad aggirare le difese dell'ospite. Una situazione analoga è quella che avviene tra il virus HIV e la molecola CD4 dei linfociti T. L'infezione di altri tipi di cellule è molto meno efficiente e avviene attraverso vie ancora poco conosciute.

Meccanismo dell'infezione

Dopo essersi fissato sul suo recettore, l'EBV penetra nel linfocita B e il suo DNA persiste nella cellula in due forme: una forma episomiale, in cui il DNA virale rimane sotto forma circolare, staccato dal materiale genomico umano, e una forma integrata in cui il DNA si incorpora nel genoma dell'ospite, senza comunque una sede specifica di integrazione.

Dopo l'infezione dei linfociti B, possono verificarsi due situazioni: la prima, caratteristica della maggior parte delle infezioni virali, comporta l'inizio di un ciclo replicativo virale e la morte della cellula infettata per lisi, a cui segue il rilascio di nuove particelle virali complete che andranno a infettare altre cellule. La seconda, tipica dell'EBV e di pochi altri virus, comporta uno stato di latenza in cui il virus non si moltiplica all'interno della cellula. Questa latenza può durare per un tempo molto lungo e spiega il motivo per cui un individuo venuto a contatto con l'EBV possa ospitare per tutta la vita un certo numero di cellule infettate.

In ogni caso, dopo aver infettato i linfociti B, il genoma virale governa la sintesi di alcune proteine, dette antigeni EBNA (Epstein Barr Nuclear Antigens). All'inizio si credeva che l'EBNA fosse una sola proteina, oggi si conoscono sei proteine diverse, numerate da EBNA-1 a EBNA-6. Queste proteine interferiscono con il DNA cellulare modificando l'espressione di diversi geni e attivando in maniera permanente i linfociti B che vanno così incontro a una proliferazione indefinita (immortalizzazione cellulare).

Il fenomeno dell'immortalizzazione cellulare è stato studiato riproducendo in vitro colture di linfociti umani infettati dal virus. Le cellule proliferano indefinitamente sotto il governo delle proteine virali EBNA, di tre proteine di membrana (LMP1-2A-2B) e di due tipi di RNA non poliadenilati (EBER1 ed EBER2). La linea cellulare così ottenuta è chiamata linea cellulare linfoblastoide (LCL).

In base all'espressione delle proteine virali e all'espressione dei marcatori di superficie cellulari, sono stati identificati tre programmi di latenza virale:

  • La latenza I è caratterizzata dall'espressione di EBNA-1, dal promotore Q (Qp), degli EBER 1,2 e di LMP2A. In vivo EBV persiste per tutta la vita nelle cellule B della memoria di un portatore sano attuando programma di latenza I. In condizioni patologiche l'espressione dei tre geni suddetti caratterizza le biopsie di linfoma di Burkitt e le linee cellulari corrispondenti messe in coltura per tempi non prolungati.
  • La latenza II è caratterizzata dall'espressione di EBNA-1, dal promotore Q (Qp) e inoltre di LMP1, LMP2A, EBERs. Può esserci anche l'espressione di LMP2B. La latenza II è stata osservata nella malattia di Hodgkin, nel carcinoma del rinofaringe, nel linfoma nasale NK/T, e nei linfomi delle effusioni primarie.
  • La latenza III è caratterizzata dalla trascrizione di tutte e nove le proteine della latenza. EBNA 1-2-3-4-5-6 sono trascritti dal promotore Wp/Cp. L'utilizzo di questo promotore è la condizione necessaria per definire la latenza III. Tali cellule sono le linee linfoblastoidi e alcune linee di linfoma di Burkitt in coltura prolungata. La latenza III viene anche riscontrata nei linfomi associati a EBV nei soggetti immunocompromessi.

Oncogenesi

È ormai noto il contributo delle infezioni virali alla patogenesi di molti tumori. Diversi tipi di papillomavirus umano (HPV) sono associati al tumore della cervice uterina; il retrovirus umano della leucemia a cellule T di tipo 1 (HTLV-1) è associato alla leucemia/linfoma dei linfociti T. Anche il virus dell'herpes simplex (HSV) contribuisce alla patologia di alcuni tumori orali, mentre il virus dell'epatite B è strettamente associato al carcinoma epatico.

È anche risaputo che alla genesi dei tumori contribuiscono più fattori: i virus da soli non sono sufficienti a indurre i tumori in quanto sono necessari anche diversi fattori ambientali e genetici. In generale i virus possono contribuire allo sviluppo dei tumori umani tramite due meccanismi non in contrapposizione. Il primo è la stimolazione della proliferazione cellulare determinata da un'attivazione anomala di oncogeni o dal silenziamento della funzione degli oncosoppressori. Il secondo avviene grazie alla soppressione dei meccanismi di difesa, in cui si può avere l'insorgenza di tumori non correlati al virus che ha determinato la soppressione del sistema immunitario (come l'HIV).

Anche il virus di Epstein-Barr è potenzialmente oncogenico ed è stato correlato a numerose malattie, statisticamente correlato ad anomalie del cromosoma 11; rappresenta un grosso problema anche nei malati di AIDS dove è associato a diffusi linfomi policlonali, polmonite interstiziale linfocitica, leucoplachia della cavità orale. Linfomi di Burkitt EBV positivi e altre malattie linfoproliferative correlate al virus (indicate complessivamente con l'acronimo PTLD) si stanno osservando con sempre maggior frequenza nei pazienti trapiantati che ricevono terapia immunosoppressiva. In un individuo sano, lo stato latente dell'infezione di EBV è sorvegliato dall'immunità umorale, dai linfociti T citotossici e del sistema dell'interferone.

Malattie associate

Più del 90% della popolazione umana è portatrice sana di EBV. L'infezione primaria è generalmente asintomatica nei bambini, patologica nel 50% dei casi negli adolescenti e negli adulti. Utilizzando la tecnica della PCR semiquantitativa è stato stimato che il numero dei linfociti B infettati dal virus è una cellula per milione nel sangue periferico e rimane costante per tutta la vita di un individuo sano.

EBV è anche associato a vari tumori. L'associazione del virus di Epstein-Barr con differenti tumori supera di gran lunga tutti gli altri virus umani. Nello stesso tempo però il virus non causa nessuna malattia nella maggioranza dei portatori. Questo apparente paradosso ci porta a concludere che questa pacifica coesistenza è dovuta all'interazione dell'immuno-sorveglianza dell'ospite con l'espressione delle proteine virali.

Negli anni 2010 è stata scoperta una forte associazione tra alcune varianti genomiche del virus di Epstein-Barr e la sclerosi multipla, rafforzando l'idea che il virus di Epstein-Barr possa avere un ruolo nello sviluppo della malattia.

Principali malattie associate all'EBV

La letteratura scientifica spesso associa la presenza del virus di Epstein-Barr con diverse patologie che si caratterizzano per una depressione delle difese immunitarie, come:

Note

Altri progetti

Collegamenti esterni

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