Il carcere dell'Asinara è stato un penitenziario attivo nell'isola sarda dell'Asinara, facente parte del comune di Porto Torres.
Fu istituito nel 1885 e dismesso nel 1998. Nel 2002 l'intera isola è stata dichiarata Parco nazionale dell'Asinara.
Carcere dell'Asinara | |
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La diramazione centrale | |
Ubicazione | |
Stato | Italia |
Regione | Sardegna |
Coordinate | 41°05′05″N 8°20′02″E / 41.084722°N 8.333889°E |
Informazioni generali | |
Tipo | Carcere di Massima Sicurezza |
Inizio costruzione | 1885 |
Primo proprietario | Ministero di Grazia e Giustizia |
Condizione attuale | Restaurato |
Proprietario attuale | Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare |
Visitabile | Sì |
Informazioni militari | |
Utilizzatore | Regno d'Italia Italia |
Funzione strategica | Colonia penale per i prigionieri di guerra |
Termine funzione strategica | 1998 |
Azioni di guerra | Prima guerra mondiale, Guerra d'Etiopia |
Note | Ora parte del Parco nazionale dell'Asinara |
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Il distaccamento di Fornelli è stata la prima sezione carceraria costruita sull'isola. Ne vennero successivamente aperte altre ed alcune furono adibite a colonie penali agricole. Questo carcere è stato utilizzato durante gli anni di piombo per la reclusione di membri delle Brigate Rosse. In quell'occasione furono attrezzate le celle di massima sicurezza.
In seguito a un tentativo di insurrezione, avvenuto il 2 ottobre del 1979, la sorveglianza a Fornelli fu notevolmente rafforzata.
All'Asinara soggiornarono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che trascorsero un breve periodo sull'isola per motivi di sicurezza personale (i due giudici dovettero pagare allo Stato le spese tenute da loro stessi sull'isola per il loro soggiorno forzoso nella foresteria nuova di Cala d'Oliva).
Molti detenuti mafiosi sottoposti al regime del carcere duro (secondo l'articolo 41-bis della legge del 26 luglio 1975, n. 354) sono stati reclusi in questo carcere nel periodo compreso tra il 2 settembre del 1992 sino al 1995. Tra i reclusi vi fu anche Salvatore Riina. A cavallo degli anni ottanta e novanta vi è stato recluso anche il capo della nuova camorra organizzata Raffaele Cutolo.
Per la fruizione dell'ora d'aria, nel carcere di Fornelli e nel bunker di Cala d'Oliva (dov'erano incarcerati Riina, Cutolo e Leoluca Bagarella) furono ricavati dei piccoli cortili per far sì che i detenuti non avessero contatti diretti tra loro.
Il carcere dell'Asinara può considerarsi una sorta di seconda Alcatraz, in quanto anche qui solo un detenuto riuscì a fuggire (il primo settembre 1986) nei suoi 112 anni di attività (contro i 14 tentativi di fuga da Alcatraz): si tratta di Matteo Boe, bandito sequestratore sardo. Il suo complice, Salvatore Duras, fu catturato mentre Boe riuscì a fuggire a bordo di un gommone.
Il 5 novembre 2009 il ministro Angelino Alfano ipotizzò la riapertura del carcere dell'Asinara e di quello di Pianosa, penitenziari nei quali sono stati storicamente detenuti i boss mafiosi in regime di carcere duro.
Nel corso degli anni settanta il carcere dell'Asinara era divenuto una delle carceri più idonee dove recludere i militanti delle Brigate Rosse. Le condizioni di vita all'interno del carcere erano inumane, con i detenuti in isolamento perenne e celle molto piccole. Il 2 ottobre 1979 all'interno del carcere scoppiò una rivolta accuratamente organizzata dagli stessi brigatisti reclusi: con l'aiuto dall'esterno, i detenuti erano riusciti ad introdurre in carcere pochi giorni prima un discreto quantitativo di esplosivo. Obiettivo unico dei rivoltosi era quello di rendere inagibile la struttura, così da essere trasferiti altrove. Da tempo infatti le Brigate Rosse definivano il carcere dell'Asinara come un vero e proprio lager italiano.
Il piano scattò quando cinque agenti, poco dopo le 19:00, riaccompagnarono in una delle celle Roberto Ognibene, il brigatista cui spettava il compito di distrarre la polizia penitenziaria. A quel punto delle Moka riempite di esplosivo vennero tirate fuori dai nascondigli ed utilizzate come ordigni. Per diverse ore i brigatisti devastarono, usando brande e tavolini come arieti, l’ala del supercarcere di Fornelli, nella speranza di poter guadagnare l’uscita attraverso i tetti. Ma il controsoffitto che metteva in comunicazione le celle, una volta sfondato, rivelò un'altra insormontabile parete di cemento armato. Chiusi all’interno i brigatisti chiesero alla Procura di Sassari di parlare con il magistrato di turno, il sostituto Giovanni Mossa, e con l’allora direttore del supercarcere, Luigi Cardullo. Seguirono ore di tensione e assalti, mentre sull’isola sbarcavano in forze carabinieri, poliziotti e finanzieri che circondarono l’intero perimetro di Fornelli. Dopo diversi assalti, respinti a suon di caffettiere esplosive, l’intero braccio del carcere di Fornelli venne inondato di gas lacrimogeni, sino alla resa dei rivoltosi. Molti detenuti vennero trasferiti all’ospedale di Sassari per essere curati dai sintomi di asfissia e dalle vesciche urticanti provocate dai lacrimogeni.
Il processo che ne seguì, davanti alla Corte d’Assise di Sassari, portò alla condanna a quattro anni di Maurizio Ferrari, Giorgio Panizzari, Arialdo Lintrami, Giorgio Semeria, Angelo Basone, Renato Curcio, Roberto Ognibene, Giuliano Isa, Francesco Bartolazzi, Alberto Franceschini, Tonino Paroli e Lauro Azzolini, riconosciuti responsabili dei reati di detenzione di esplosivo, lesioni e danneggiamento; vennero invece prosciolti dall’accusa più grave, ovvero il tentato omicidio degli agenti di custodia.
Chiamato giornalisticamente "L'Alcatraz italiano", in seguito alla rivolta dell'ottobre 1979 il carcere divenne famoso a livello nazionale. Sono stati detenuti nell'isola tra i più pericolosi criminali della Camorra, di Cosa nostra, delle Brigate rosse e dell'Anonima sequestri. In più di cento anni di esercizio nessuno è mai riuscito ad evadere dal carcere ad eccezione del criminale lulese Matteo Boe. Durante entrambe le guerre sono stati detenuti prigionieri politici e migliaia di prigionieri di guerra.
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